La Società Alpina Friulana si costituì come sezione del CAI l’8 Febbraio 1874 a Tolmezzo e fu presieduta dall’insigne geologo prof. Torquato Taramelli. La rivista della SAF si denominava dapprima “Cronache della Società Alpina Friulana”, successivamente “In Alto”.
“In Alto” , il primo gennaio del 1894, cambiò il volto delle cronache della Società Alpina Friulana. Il nuovo titolo e la cadenza semestrale si proponevano tuttavia come continuazione delle Cronache che già uscivano con insufficiente regolarità dal 1881. L’elemento nuovo consistette nell’accentuazione del momento scientifico, nella attenzione ai problemi generali della montagna. Va ricordato come la SAF si fosse staccata dal CAI per descrivere meglio i paesaggi alpini del Friuli, per conoscere i generi di vita le sue genti e per saper difendere nel caso i confini della patria. Il germe autonomista da cui procedeva questo progetto trovò un deciso sostenitore in Giovanni Marinelli, anima della rivista fino al 1900. Si può dire che per merito suo nella SAF siano confluite tutte le forze di innovazione del Friuli postrisorgimentale formando nelle Alpi orientali un gruppo di geografi e geologi che furono singolarmente e come scuola i più importanti d’Italia. Tra questi personaggi resta figura di massimo spicco Olinto Marinelli colui che succedendo al padre guiderà le cronache della SAF fino al 1926. Attorno a questa rivista, che sente fortissima la competizione con le dotte consorelle d’oltralpe si stringono tuttavia Torquato Taramelli, Ferrucio Cantarutti, Valentino Ostermann, Michele Gortani, Arrigo Lorenzi, Francesco Musoni, Cesare Mantica, Achille Tellini, Gian Battista De Gasperi, Egidio Feruglio, Ardito Desio, Ludovico di Caporiacco. E’ sufficiente scorrere gli indici pubblicati nell’ultimo “In Alto” per cogliere il significato culturale di questo alpinismo cui per altro aderì anche Giovanni Angelini, cui idealmente potrebbe allinearsi la sua fondazione. Dopo il 1926 si dischiuse un periodo di grave crisi dovuta anzitutto a pressioni politiche quindi alla proposta di far passare un alpinismo più decisamente orientato verso l’impresa sportiva.
Il bisogno di cultura e l’obbligo morale di capire-tutelare il paesaggio riemerge nell’ “In Alto” del dopoguerra e del dopo terremoto in specie. La rivista ottiene così i contributi dei professionisti della cultura, le memorie di grandi alpinisti, il lavoro prezioso di numerosi occasionali collaboratori senza mai offrire null’altro in cambio che l’antico prestigio e ribadendo la convinzione che difendere la montagna è sotto ogni profilo necessità di incivilimento. L’ultimo “In Alto” , anno CXVIII, è ancora distribuito gratis ai quasi tremila soci, i quali riconoscono l’importanza di affrontare la montagna con intelligenza e cultura, di formare un gruppo di eccellenza, modello civile dell’accostarsi alla natura e alla civiltà delle Alpi.
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